Una strada che non porta a nulla

Una strada che non porta a nulla
Illustrazione originale di Aris (Romina Beneventi)

giovedì 10 aprile 2014

Le risposte


-testo di Rumigal
-foto di Marìka Moretti



Quando ero piccolo, mio padre era una sorta di super uomo, di quelli che lo guardi e pensi che davvero niente possa sconfiggerlo. E in effetti era davvero cosi. Poteva risolvere tutti i problemi, aveva sempre la risposta a tutto. E sono cresciuto con l'idea che anche io in qualche modo avrei scoperto tutte le risposte diventando genitore a mia volta.
Eppure adesso mi sembra di non sapere niente. Tu sei in quel letto d'ospedale da cui non ti alzerai mai più, ed io non so niente.
Quando il dottore ci ha spiegato l'entità del danno, ho guardato tua madre. Lei è rimasta impassibile. Lei è forte. Io invece non sono riuscito a trattenermi. Ho dovuto piangere per non esplodere davvero.
Ci ha detto che non camminerai mai più, che anzi, non potrai muovere più alcuna parte del tuo corpo sotto il collo. Potrai parlare, quando ti sveglierai, potrai pensare. E noi saremo li con te, ogni giorno. 
Ma non riesco ad esserci adesso. Ti vedo in quel letto, anche adesso che sono qui, e penso che non so che fare. Penso che mio padre avrebbe saputo cosa dire, invece, quale sarebbe stata la cosa giusta da fare.
E' che siamo sempre abituati a pensare in grande. Anche se non lo facciamo consciamente, anche se magari ci ripetiamo sempre che la vita può cambiare all'improvviso. No, in realtà pensiamo sempre di poter sfuggire alle meschinità della vita.
Perché dovevi essere in quella macchina, su quella strada, in quel momento? Sarebbe bastato cambiare uno di questi dettagli, e non sarebbe successo niente. E quando ti sveglierai, dovremo anche dirti che la ragazza che era con te in macchina è morta. E neanche la conoscevamo.
Ecco, questa è un'altra cosa che mi ha spaventato. L'idea di non conoscerti davvero, che magari ho sprecato del tempo e non ti ho conosciuto come avrei dovuto. Ho realizzato che ci sono milioni di cose che voglio sapere, che ho bisogno di sapere da te. Anche cose sciocche, come sapere se ti piace il nome che ti abbiamo dato.
"Thomas"
Era il nome del fratello di tua madre, a cui lei era molto legata, anche se morì quando era piccolo. Forse è per questo che lei ha reagito così, quando ti ha visto. In qualche modo lei è abituata, chissà.
Ricordo che una volta mi disse proprio questo, che aveva sperimentato il dolore più grande quando era troppo giovane per capirlo ed elaborarlo. Cosi lo aveva semplicemente fatto suo. Senza capirlo o perderci troppo tempo, senza porsi domande.
"L'elaborazione è la condanna dell'età adulta. I bambini sono più fortunati invece."
Mi chiedo se tu sei mai venuto qui, su questa Strada. Io non ci ero mai venuto per esempio. Dev'essere un bel posto dove portare una ragazza. Magari quando c'è stato l'incidente stavi venendo qui. Oppure no. Magari stavi andando a casa sua, magari stavate andando al cinema a vedere "Captain America". Magari stavate solo facendo un giro e l'intero ordine delle cose ha fatto si che tu passassi li in quel momento, cosi che la macchina ti sfuggisse dalle mani per andare contro un muro. E poi tutto si è interrotto. Come questa strada.
Non so perché, ma mi torna in mente una festicciola che facemmo nel cortile di tuo nonno. Forse era un tuo compleanno. Si, credo fosse per i tuoi sette anni. C'erano anche i tuoi compagni di classe, e giocavate come non ci fosse un domani. Ricordo le tovaglie sui tavoli, di colore giallo come il vestito di tua madre. Ricordo tua nonna che cercava di rincorrervi ma voi eravate più veloci e allora il nonno vi tese una trappola, spostando velocemente i tavoli e le sedie mentre voi eravate impegnati a scappare via. E ci finiste dentro, come i bambini che eravate.
E' un bel ricordo, non trovi?

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